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DOCUMENTARIO DEDICATO DA AL-JAZEERA ALLA LEADER RADICALE EMMA BONINO

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IN UN'EUROPA SPACCATA ORA HOLLANDE TIRA IL FRENO

Il Secolo XIX - 7 settembre 2013

di Francesco De Remigis

L'Italia è tra gli undici firmatari del documento che sottolinea l'uso di armi chimiche da parte di Bashar al Assad: «Il regime viene ritenuto responsabile dell'attacco del 21 agosto a Damasco», si legge nel testo, per cui si chiede «una risposta forte». Ma sia la Farnesina, sia Palazzo Chigi, restano cauti sull'intervento militare. Il motivo lo ha spiegato lo stesso premier, Enrico Letta. Permane, «in modo molto doloroso», la divisione su una soluzione militare. Specie in sede europea. Così anche Roma sembra propendere per una via alternativa. Più soft. «Lavoreremo affinché rientrino le divisioni - ha detto Letta - per una soluzione politica, ma anche per ribadire la condanna sull'uso delle armi chimiche». «L'Italia - ha poi chiarito il premier - non parteciperà ad alcuna iniziativa di carattere militare che non abbia l'autorizzazione esplicita dell'Onu». Tuttavia Letta, ha cercato sino all'ultimo, insieme allo spagnolo Mariano Rajoy di convincere Obama a usare toni meno forti, a frenare sull'intervento. I due hanno cercato l'ultima mediazione nel tentativo di scongiurare un «allargamento dell'Atlantico», facendo da "spalla morale" a Washington. A nulla sono valsi però gli sforzi del premier italiano per convincere il presidente Usa a concedere più tempo alla diplomazia. Roma non vuole ripetere il disastroso intervento in Iraq. Un messaggio di prudenza, insomma, rivolto agli Stati Uniti, e anche alla Francia, in prima fila per un intervento armato. «Se il Congresso americano respingerà l'autorizzazione all'attacco, Parigi invierà armi ai ribelli», ha detto ieri François Hollande. Ma il presidente francese, ora più isolato in Europa, ha corretto il tiro: un ipotetico attacco dovrà concentrarsi «solo su obiettivi militari» e non mirerà alla caduta del regime di Bashar al-Assad, ha detto. Un piccola cautela dopo lo slancio iniziale. Firmato al termine del vertice G20 da undici Paesi - Australia, Canada, Francia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita, Spagna, Turchia e Stati Uniti, più la Spagna, invitato permanente al G20 - il documento contiene ben poco. Contano più le dichiarazioni a margine. La Francia alza la voce col ministro degli Esteri, Laurent Fabius, chiedendo di condannare l'uso delle armi chimiche. Ma nulla di più. Hollande, ormai, frena ad ogni dichiarazione, in attesa della decisione americana. Anche il più attivo fronte interventista in Europa ieri si è sfaldato; tanto che l'Eliseo si è visto costretto a far sapere in serata che la Francia aspetterà il responso degli ispettori: «Nessun attacco prima del rapporto delle Nazioni Unite». Come l'Italia. Sembra passata la linea del segretario generale dell'Onu BanKi-moon; anche lui a San Pietroburgo per un incontro laterale al G20. Alla vigilia del vertice ha espresso il suo «No» a un intervento «avventato». Ma, mentre Papa Francesco, dal suo account Twitter, ribadiva un impegno per la pace da parte di tutti gli uomini di buona volontà, gli Stati europei continuano a muoversi in ordine sparso. L'Ue «cercherà di trovare un linguaggio comune oggi a Vilnius. Per lasciare aperta la porta ad una soluzione politica», spiega il capo della diplomazia italiana Emma Bonino. Un auspicio, oggi alla prova dei fatti nella riunione informale con i 27 colleghi prevista in mattinata. Se al G20 i capi di Stato e di governo hanno infatti ottenuto ben poco, nella capitale lituana si riproporrà il tema dell'intervento armato. All'incontro sarà presente anche il segretario di Stato americano, John Kerry, che cercherà di convincere i 28 della necessità di un intervento contro il regime. Insomma, tra Vladimir Putin e Barack Obama le divergenze rimangono nonostante l'incontro di ieri. L'Unione europea si limita ad avere «comprensione» per la via americana per cui il presidente degli Stati Uniti si era rivolto agli alleati europei. Ma senza farla propria.





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