
Il Messaggero - 8 settembre 2013
di Pietro Piovani
Il tempo per negoziare ancora c'è, Emma Bonino ne è convinta. Gli Stati Uniti si prenderanno un po' di giorni prima di lanciare i loro missili sulla Siria. Nel frattempo si può tentare di far tornare in gioco la politica, tanto più che l'Europa sembra aver finalmente trovato una posizione comune (o almeno qualcosa che ci somiglia) e può provare a esercitare un suo ruolo. Per arrivare a questa posizione comune si è dovuto sottoscrivere, tra l'altro, un documento di pesante condanna ad Assad, fortemente voluto dagli Stati Uniti. Alla fine lo ha firmato anche la Germania, dopo un ripensamento al quale ha contribuito l'opera di convincimento compiuta dal nostro ministro degli Esteri sul suo collega tedesco Westerwelle.
Ministro Bonino, ma questo documento non smentisce dà fatto la linea italiana?Â
«La posizione italiana non è cambiata. Il presidente Letta, io e il ministro Mauro abbiamo in più occasioni riaffermato la più ferma condanna dell'uso di armi chimiche. La solidarietà transatlantica non è mai stata messa in discussione e la nostra firma al documento è la prova di quanto saldo sia il legame con Washington e della comprensione delle ragioni politiche che muovono gli Usa. Ma abbiamo ribadito agli amici americani la nostra contrarietà  a un'azione militare decisa al di fuori del contesto dell'Onu e prima che gli ispettori presentino le loro conclusioni sull'odioso attacco con le armi chimiche».
Se potessimo tornare indietro di due anni lei sarebbe ancora favorevole a un intervento internazionale in Libia?Â
«Libia e Siria sono due realtà  molto diverse. In Libia vi è un sistema tribale ancora ben radicato con milizie di diversa appartenenza che mantengono un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza nell'area di propria influenza. Nel caso siriano esisteva un vero e proprio Stato governato con il pugno di ferro dalla minoranza alawita mantenendo alleanze importanti con settori sunniti e con le minoranze religiose. L'equilibrio è saltato. Assad ha scelto la repressione generalizzata e cruenta contro il proprio popolo e, come Gheddafi, si troverà prima o poi a pagare un prezzo. Ma non è attraverso un intervento militare esterno che si può stabilizzare il Paese quando anche all'interno dell'opposizione c'è lotta aperta e sul terreno non vedo una fazione che possa prevalere».
Quale può essere la "soluzione politica" che l'Italia invoca per la crisi siriana?Â
«La situazione che si è determinata dopo il G20 e la riunione informale dei ministri degli Esteri europei a Vilnius probabilmente ci lascia un lasso di tempo prima dell'eventuale azione militare durante il quale dobbiamo cercare con forza proposte alternative in grado di coagulare il massimo consenso possibile. Dopo la presentazione del rapporto degli ispettori è auspicabile che si possa mettere sul tavolo una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite accettabile per tutti. La soluzione politica che l'Italia ha sostenuto è stata già tracciata da Ginevra 1 e prevede una serie di passi come il cessate il fuoco, la formazione di un governo provvisorio, il rientro dei profughi...».
Prima della strage del 21 agosto molti erano convinti che l'Occidente, visti i risultati delle rivoluzioni in Egitto e in Libia, avesse deciso di lasciare Assad al suo posto. È ancora così?Â
«Assad prima o poi sarà costretto a lasciare il suo posto. La Storia e il suo popolo lo hanno condannato per sempre e non è questione se Assad rimarrà , ma quando sarà costretto ad andarsene. Nemmeno alcuni dei suoi alleati, come i russi, ritengono che rappresenti il futuro della Siria».
Possiamo credere ancora in una democrazia nei paesi arabi?Â
«Certamente. Il risveglio arabo con le sue convulsioni ancora in atto ha segnato l'inizio di un processo voluto con forza da diversi popoli arabi per arrivare a società in cui tutte le componenti sociali possano esprimersi liberamente ed esercitare i propri diritti fondamentali. Forse non vi è ancora piena contezza che accanto a essi vi sono anche doveri. Restano molti passi da fare per arrivare a democrazie compiute. Ma anche noi in Occidente, in Italia in particolare, non possiamo dare troppe lezioni quando siamo oggetto a nostra volta di critiche di organismi internazionali per il nostro sistema della giustizia, il trattamento dei carcerati...».
Come è stata presa a Washington la posizione italiana? È vero che gli Stati Uniti sono irritati con noi?Â
«Parlano i fatti. Non vi è stata irritazione degli Stati Uniti che hanno chiarito che lo scopo della loro azione diplomatica è acquisire il sostegno politico alla loro linea e non necessariamente la partecipazione a un'eventuale iniziativa militare. Un sostegno che l'Italia non ha mai fatto mancare».