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GLI ULTRA' LAZIALI PRIGIONIERI E LA CORDA TESA CON LA POLONIA

Il Messaggero - 7 dicembre 2013

di Paolo Graldi

Uno sbaffo vistoso anche se malcelato nei rapporti tra Italia e Polonia dopo gli arresti dei tifosi laziali a Varsavia, già una settimana fa, prima della partita tra i biancocelesti e il Legia. Quasi un inciampo diplomatico tra i due Paesi amici. E la corda resta tesa, il gesto distensivo tarda ad arrivare. Ma ora il quadro d'insieme è più chiaro e non rassicura: le rimostranze verso la retata preventiva della polizia, davvero scatenata nella caccia all'ultrà italiano, il carcere per 150,pane e acqua per tre giorni per tutti condito da un trattamento severo e inutilmente aggressivo, spinto fin nelle spregiudicate ispezioni corporali, l'attesa di giudizio che ancora perdura per una ventina di giovanotti. La coincidenza della visita di Stato del premier Letta al premier polacco Donald Tusk ha sparso un po' di unguento sulla ferita ancora aperta, con la promessa di chiudere il caso al più presto, «ma nel rispetto della legge, che qui in Polonia è uguale per tutti». A inasprire questa brutta storia di bagarre calcistica ci si è messo il ministero dell'Interno Sinkiewicz. 
Le cui parole di diplomatico hanno solo la pretesa di esserlo: il gruppo di tifosi è stato sbrigativamente definito come un manipolo di «banditi, delinquenti» e la comprensione per i genitori accorsi nella capitale polacca per seguire l'evolversi del caso come «comprensibili lamentele per le cattive condizioni del carcere». Il capo politico della polizia ha scelto le parole sbagliate specie per il fatto che il caso adesso è passato dal contenuto dei rapporti di polizia alle carte processuali, in mano alla magistratura giudicante. E su quest'aspetto il nostro ministro degli Esteri, Emma Bonino, non si è fatta pregare e ieri ha giudicato «sconvenienti, specie se pronunciate da un ministro» le parole di Sinkiewicz. Con una avvertenza importante: le responsabilità, quando sono comunque provate, sono e restano personali. Anzi, di più: «L'Italia presta assistenza ai cittadini in difficoltà, ciò che non passa neanche per la testa ad altre amministrazioni straniere nel mondo». Con una postilla: «Bisogna fare i conti con le leggi degli altri Paesi, siamo maggiorenni». Niente buon senso, niente umanità di contesto come s'auguravano, specie dal centrodestra, diversi esponenti politici, da Cicchitto, alla Meloni fino al ruvido La Russa. E naturalmente fischiano i paragoni e si riprendono i fili di quel disgraziato 19 settembre che vide torme di ultrà del Legia mettere a soqquadro Roma, prima, durante e dopo la partita, anche quella volta contro la Lazio. Voleranno da Varsavia sui tifosi condanne penali, richieste di pentimenti per ridurre il carcere a sanzioni amministrative e tuttavia resta sul campo, fatte salve le responsabilità dei singoli, l'approccio comunque aggressivo, ben al di là dell'allegra e chiassosa goliardia calcistica. C'è e permane nelle tifoserie un prurito a menar le mani che stenta a guarire, in casa e fuori casa, il calcio soffre su molte piazze e su tanti campi dell'azione di scalmanati e facinorosi, che con il tifo hanno pochissimo a che fare e che scendono in strada armati di odio, di spranghe, di bottiglie vuote quando non di bottiglie piene di benzina. E c'è di mezzo anche l'inguaribile, vergognosa tentazione dinacchiare di slogan razzisti le azioni e gli uomini che giocano. Tant'è vero che in curva, la scorsa domenica, ci hanno mandato i ragazzini a sventolare le bandierine e anche lì è partita qualche parola di troppo. Non sono bastati, per trarre qualche bilancio, le nuove leggi: la situazione è migliorata ma il dato culturale stenta a farsi largo tra una diffusa ignoranza mentre s'allarga la tentazione di fare del tifo calcistico lo scudo per la violenza fine a se stessa. Le forze dell'ordine ne sanno qualcosa: ogni domenica c'è sempre qualche poliziotto o qualche carabiniere che si prende una sassata o si ustiona con qualche petardo. Ma da noi la polizia adotta tattiche intelligenti: preferisce azioni ad elastico, tese ad assorbire la massa d'urto per poi disperderla evitando lo scontro frontale. Una tattica costosa e tuttavia dagli apprezzabili risultati, se non altro sul piano dell'affollamento ai pronto soccorso e poi nelle aule di tribunale. 
Resta il vecchio, frusto discorso: in ogni gruppo di tifosi ci sono avanguardie che predeterminano azioni violente di guerriglia, come del resto sembra sia accaduto a Varsavia. Sta alla maggioranza dei tifosi punto zero non lasciarsi invischiare nella spirale degli attacchi. Adesso è sperabile che le parole sensate e i gesti maturi abbiano il sopravvento su tutto il resto, che gli italiani siano scarcerati e rimandati a casa, che l'amicizia tra italiani e polacchi si risentimento. Proprio come si riveli più forte di ogni altro dimostra dall'accoglienza non sempre meritata che gli stranieri, polacchi compresi, ricevono da noi. Questo merito, almeno questo, ci va riconosciuto.





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